segunda-feira, 5 de abril de 2010

Arnica

quinta-feira, 1 de abril de 2010

«C’era una volta un presidente»



Rispostaccia

Grazie. Devo ringraziare davvero tante persone, di cuore. Sono pochi giorni che è uscito il libro «C’era una volta un presidente» e già mi hanno dato modo di avere la mia sana dose di sorriso da stregatto, senza la quale non riesco a vivere bene. Senza la quale non so come avrei potuto fare, sarei probabilmente caduta in depressione e mi sarei fratturata qualche sinapsi. O come minimo avrei riportato una lussazione all’emisfero sinistro del cervello. E invece no! Senza neanche bisogno che io invocassi aiuto, si sono prodigati, e tutt’ora si sprecano per la mia salute, per farmi trovare me stessa, per suggerirmi chi sono. Vi pare poco? Provate a dare un’occhiata alla parcella media dello psicologo tipo. Insomma, queste persone io ho proprio il bisogno fisiologico di ringraziarle. Uno specialista non avrebbe potuto fare di meglio. Ad esempio, non mi ero ancora accorta di essere una «baldracca». Ohibò. Ho tanto cercato me stessa, da brava scrittrice, ma non mi ero mai trovata così. Poi, siccome convivono varie nature, in me (siamo tutti un po’ dottor Jekyll e mister Hyde), adesso mi viene l’impulso di pigliare il dizionario etimologico e guardare l’origine di questa mia nuova componente. Strano, per una b., ma vero. Vediamo… Allora: badessa badminton baffo bagagliaio baggianata bagnacauda bagnomaria baiocco balcone baldracca.

Eccoci arrivati. Ma no! Lo sapevate che viene dal nome di un’osteria fiorentina medv (e mettiamoci tutti a sciacquare un po’ i panni in Arno, al mio via, ma senza la liscivia), ispirata alla città di Baldacco (Bagdad) incr. con baracca? Ma guarda tu. Ci hanno visto giusto i miei analisti: così restiamo pure in clima da Mille e una notte. Mi sento proprio baldracca. Poi, ho scoperto di essere un po’ anche «scimmia psicotica e spastica». Ora. Vorrei capire cos’hanno lor signori contro scimpanzé e bertucce. Non sanno che secondo la vulgata tutti quanti, non solo la qui presente baldracca, deriviamo da qualche superspecie di primate? Io posso avere delle piccole riserve, ma credevo che per loro la questione fosse ormai chiusa… Vedrete: fra un po’, il nuovo insulto sarà «Bisnonno!», e per ribattere alla rivale antipatica le si darà della prozia. Insomma, sarebbe il caso che questi spregiatori degli antenati ritornassero nei ranghi – anzi: negli oranghi tanghi.

E adesso, chiamate a raccolta bimbi e fanciullini, perché in questi giorni ho scoperto una cosa che può far fare la pipì addosso dall’emozione. Ho scoperto, cioè, che il mondo è veramente popolato da persone straordinarie. Superman, Zorro, l’Uomo ragno, Supermario e Camillino il robot di Paperone esistono. Davvero. Noi non pensavamo fosse possibile ma esistono. In carne e ossa. In karma e supermossa, parlando il cartoonese. Si realizza, insomma, il sogno più grande di piccini e piccioni. Noo! E noi che pensavamo fossero solo delle storielle, che esistessero exclusivamente sulla carta… Ma dai! Ebbene sì, cari miei. Volete sapere come ho fatto a scoprirlo? Semplice: previa loro esplicita dichiarazione. Hanno utilizzato, i miti redivivi, una semplice proporzione, di quelle del tipo ‘A sta ad A come B sta a B’. “Se Silvia Valerio è vergine io sono l’uomo invisibile”. Una ripresa del sillogismo aristotelico, forse? E andiamo! I sillogismi sono il mio forte. Bisognerà proporre una rubrichetta sulla Settimana Enigmistica. Sviluppiamolo subito.
1) Se Silvia è vergine, i supereroi tornano sulla terra
2) Silvia è vergine
3) I supereroi sono tornati sulla terra C.v.d.

Poi, in questi giorni, sono sprofondata nel dubbio. Sto pensando – ma non troppo convinta in realtà – di aver sbagliato facoltà universitaria. No, ma sapete perché? Io sono del parere che un uomo abbia poche certezze nella vita, e tra le mie ci stava quella di non scegliere mai e poi mai una facoltà scientifica. Di liberarmi il prima possibile dei numeri. Dividermi per sempre dalle divisioni e moltiplicare all’infinito i chilometri che mi distanziano da una moltiplicazione. Riportare le radici e soprattutto i radicandi (lo dice pure il nome: da radicare) alla loro sede naturale, ovvero metri e metri sotto terra al calduccio. E, giusto per par condicio, elevare alto alto le potenze, piazzarle sopra l’Himalaya perché si rinfreschino le ideuzze, si potenzino pure a iosa e ci lascino sguazzare nella nostra meravigliosa ignoranza. Là dove volano le aquile. Noi cinciallegre stiamo felicissime e contentissime in un ambiente pianeggiante e mediterraneo con un bel romanzo di Jovine in una mano. E la calcolatrice nell’altra, se proprio risulta improvvisamente necessario sapere quanti giorni ci separano dalla fine. Ecco, in queste ultime ore il mio idillio si è frantumato come solo una disequazione fratta sa fare. Perché tanti amici (?) di penna mi danno dell’esperta di marketing. Della navigata in furbate economiche. Della calcolatrice. Quella che aveva già programmato tutto. Era già tutto previsto… Fino al punto che sapevo… (Viva Cocciante.) Sì, per farla breve, ho letto tra le righe un esplicito consiglio a darmi a studi tipo ingegneria economia o strategie di marketing. Io che, sempre vivano i rimedi della nonna, conto ancora con le dita. Vanitosa e autocompiaciuta come hanno subito capito che sono, dunque, ci sto facendo davvero un pensiero. Si può fare. Forse. Mi dovranno prestare solo un sacco delle loro dita, piedi, mani, di coltellini svizzeri per concretizzare fisicamente le divisioni (tranquilli: segherò di netto e senza tante storie. Voglio arrivare subito al risultato, io), di persone quadrate da esaminare in ogni loro angolo, di ottusi (e qui non ci sarebbero problemi perché sono in esubero sul mercato) e, ovvio, un’impresa di pulizia per sistemare in sistemi le equazioni di primo secondo e ics grado. Sì, si può fare. Forse riuscirei addirittura a laurearmi prima di fine secolo. Sarebbe giusto un po’ dispendioso. Un sincero colpo di grazia alla Signora (esse molto maiuscola perché lei è un calibro grosso…) Maglie, che mi dedica un bel popo’ della sua attenzione giornalistica; fa un’analisi da mandare in crisi lo stesso Freud; mi porta a conoscere specie umane che credevo e speravo inesistenti, come le fantomatiche Serial Killer Groupies, a cui dovrei pure appartenere. Fidiamoci senza fiatare e senza indagare – se lo dice Lei.

Però mi scappa una domanda alla Professoressa. Riguarda una cosa che mi piacerebbe sul serio imparare. Se mi concede un minuto della Sua pazienza. Come si riesce a scrivere un’analisi del testo e dell’autore così ben fatta, senza nemmeno aver letto il testo? Insomma, davvero, voglio ringraziarvi tutti, i belli i brutti, i grandi i piccini, i geni e i cretini perché mi avete aperto un mondo su aspetti della mia personalità che ancora non cred(ev)o di possedere. Mi scende una lacrimuccia di riconoscenza, perfino. Aspettate: la raccolgo e la conservo che magari posso sempre rivenderla – io che adoro fare merce di me stessa, è il mio hobby preferito, figuriamoci se non metto all’asta anche questo. Grazie di avermi paragonata a svariati nostri amici animali, che già il vecchio Plinio descriveva con dovizia di particolari e fini caratteri psicologici (la clementia del leone, la fides dei cani, la gratitudine della pantera e via discorrendo). Come diceva Mark Twain: più conosco gli uomini più amo il mio cane (quotidiano). Ma davvero. Mica per scherzo. Mutatis mutandis: più mi disconoscono, più io mi amo. Più mi descrivono, più io vengo presa da un’irrefrenabile voglia di scrivere. Più (stra)parlano di me, più io mi sento cullata come da una ninnananna. Più mi augurano male, più mi sento bene. Mi guardo allo specchio e vedo proprio un musetto di salute. È strano. Devo essere un po’ masochista, oltre che baldracca. Però pur sempre d’altoborgo (sic) – come ha scritto un mio penfriend, dimostrando una netta discriminazione nei confronti dei borghi bassi e collinari. Insomma: di nuovo tante cose. Grazie malagrazie e disgrazie un po’ a tutti quanti.

Lettera di Silvia Valerio (autrice del libro «C’era una volta un presidente») al Corriere Veneto